MISTERO IN UNA SERENA VACANZA

Il 15/08/12 decisi di recarmi a Olbia per fare una vacanza di una settimana da sola. Durante la tratta con il traghetto mi sono trovata varie volte a leggere dei libri gialli degli anni '90. Quando avevo il tempo libero e non sapevo cosa fare, vagavo per i corridoi in cerca di qualche mistero da risolvere.

Appena giunta sulla terra ferma decisi all'ultimo minuto di non recarmi subito all'albergo ma di andare a visitare la spiaggia di Pittulongu. Un vero paesaggio marino. L'acqua era limpida e, man mano che ti allontanavi verso il mare aperto, le sfumature continuavano a cambiare.

A quella vista mi venne un'irrefrenabile voglia di toccare le onde con i piedi.

Alzai i pantaloni e percorsi diversi metri prima che l'acqua riuscisse ad arrivare fino alle ginocchia. Mentre camminavo assorta nei miei pensieri, non mi accorgevo del tempo che passava. Riuscii a smettere di pensare quando notai che le sfumature azzurre diventavano rosa, rosse e poi rosso sangue.

Di primo impatto pensai che ci fosse un ferito in mare ma non sentendo nessun grido, mi girai verso l'orizzonte, feci un sorrisetto e me ne andai, lasciando alle mie spalle il sole quasi sommerso dalla riga piatta dell'orizzonte, mi incamminai verso il mio albergo.

Mi ricevettero con una calda accoglienza portandomi la cena su un tavolino posizionato vicino alle staccionate della terrazza. Mi diedero una stanza comoda e abbastanza spaziosa pur essendo una singola. Il sonno fu più forte di me e in un istante mi ritrovai già nella sala da pranzo per una colazione con i fiocchi. In seguito mi recai in camera mia per preparare la borsa per la spiaggia, se per caso mi fosse venuta la voglia di mare.

Sulla strada per il centro di Olbia notai subito che l'albergo in  cui risiedevo era confinante con una villa molto lussuosa e con un giardino molto ampio, non restai lì molto perché in quel preciso momento non mi incuriosiva. Al mercato feci amicizia con la  signora Kate Nieddu. Mentre  osservavo i prodotti del piccolo negozio  notai che Kate da triste e annoiata divenne subito gentile e amorevole verso un uomo che era molto famoso da quelle parti. Visto che sin da piccola andavo a fare le vacanze ad Olbia conoscevo bene quell'uomo.

Era il signor Mario Satta. Non mi ricordavo che avesse una storia con la signora Nieddu. Non trovai niente di interessante, quindi andai alla cassa e ancor prima che io riuscissi a salutarla, lei mi invitò a casa sua nel tardo pomeriggio. Mi sentivo un po' imbarazzata ad entrare in una villa molto elegante e ordinata, visto che io ero l'esatto contrario.

Mi fece subito conoscere suo marito, Giorgio Nieddu, un grande imprenditore e proprietario di tante industrie alimentari e farmaceutiche. Quando la signora mi presentò suo marito rimasi perplessa perché non riuscivo a capire cosa c'entrasse il signor Mario. Passai un bel pomeriggio e feci un giro anche della villa.

Mi rinvitarono dopo due giorni per una tazza di tè. Ritornai in albergo con una fame da lupi e mangiai tantissimo. Non riuscivo ancora a capire che cosa stesse succedendo in quella misteriosa "domus". Il giorno seguente andai in spiaggia per godermi il rumore delle onde del mare, sentire la sabbia fine sotto i piedi e per abbronzarmi quel tanto che basta per non scottarmi mentre passeggio per la città. Nel tardo pomeriggio prenotai una tuta subacquea e mi immersi nel mare tiepido.

Vidi molti pesci che non pensavo neanche  esistessero e un reperto archeologico di un peschereccio antico. La giornata passò velocemente ma la cena fu piuttosto lenta. Non riuscivo a togliermi dalla testa quel dilemma. Il giorno dell'invito arrivò e di buon mattino ero già davanti al cancello. Appena entrata ci fu subito una discussione tra  Giorgio e Luca, il fratello di Kate.

Appena finita la discussione Kate mi spiegò tutto: "Sono molto preoccupata, all'improvviso tutti i nostri soldi stanno scomparendo e non si sa neanche come. L'unico che sa il codice per ritirare i soldi nelle banche è Giorgio. Si sospetta che il colpevole sia mio fratello, io non voglio credere a questa realtà". Subito dopo si mise a piangere rivolta alla finestra. Quel pianto non mi sembrava convincente. Le feci subito una domanda al riguardo di Mario Satta.

 Kate mi rispose che era un amico di infanzia e che non c'era niente tra loro. In quel preciso momento entrò Giorgio che decise di raccontarmi la leggenda della sirena di sabbia: "Si narra la storia di una ragazza che era innamorata di un marinaio. Un bel giorno, durante una tempesta, il marinaio cadde in mare affogando e la barca riuscì a tornare fino a poca distanza dalla riva. La donna la vide affondare in mare. Pensò che dentro ci fosse il suo amato addormentato e quindi decise di tuffarsi e di andarlo a salvare. Respirò una volta sola e non riemerse più. Ora si pensa che la barca di cui ho parlato sia quella del relitto della spiaggia di Pittulongu. Si narra anche che ogni volta che il giorno 19 di un mese cade nel giorno di Domenica un fantasma, la reincarnazione della ragazza, si sveglia e uccide un uomo della stessa età del marinaio che abitava in riva al mare".

Dopo un minuto di silenzio Giorgio mi chiese se poteva parlarmi in privato. Io acconsentii. Appena restammo da soli, incominciò a parlare: "Ho paura di essere in pericolo, mi succedono delle cose strane: mi rubano i soldi e ho l'impressione che la mia amata mi stia tradendo con quel mezzo muscolo rimbambito di Mario. Ho anche sempre avuto l'impressione che Kate mi abbia sposato solo per il denaro. Tu che ne dici?"

Io risposi dicendo: "Tutto questo mi sembra così assurdo e allo stesso tempo anche vero. Quando l'ho conosciuta nel negozio si stava comportando come se fosse sposata con Mario. Io li ho fermati involontariamente perché pensavo che stessero insieme ma quando ho fatto conoscenza  con lei ho capito quasi tutto. Spiegherò ogni fatto accaduto quando tutto sarà finito".  Salutai tutti e me ne tornai in albergo per la cena. Non mangiai quasi niente perché avevo una sensazione strana.

Il mio sonno fu molto tormentato da brutte immagini. Di buon mattino, alle cinque, senza fare colazione mi recai alla villa per verificare che tutto fosse a posto. Kate mi accolse con un'espressione infastidita come se fossi d'intralcio quella esatta mattina di domenica 19. Chiesi se potevo incontrare il signor Giorgio ma Kate non volle perché non desiderava che lo si disturbasse mentre lavorava.

Quelle parole mi ferirono per il fatto che le aveva pronunciate agitandosi e sudando come se stesse nascondendo un fatto sconvolgente. Entrai di nascosto nell'ufficio e appena entrata mi girai subito perché vidi il cadavere del signor Nieddu. Kate mi raggiunse nella stanza ma non si accorse subito di me e non strillò spontaneamente.

Lo fece dopo pochi secondi anche se lo avrebbe dovuto fare subito perché da quello che avevo capito lei era una donna molto sensibile. Chiamammo subito la polizia e l'ambulanza. Dopo qualche ora i medici ci dissero che non erano riusciti a fare niente e che la causa della morte era per ora sconosciuta ma sembrava responsabile del decesso l'inalazione di un gas misto fumo, soporifero e velenoso. Andammo dalla polizia che ci diede brutte notizie: non erano riusciti a scoprire l'assassino perché non c'erano indizi e nemmeno la fonte del gas. Il caso era appena incominciato.

La signora Kate non mi sembrava tanto preoccupata ma continuava a pensare alla partenza del viaggio  del giorno seguente e all'eredità lasciata dal marito. Rimase a dir poco sbalordita quando alla lettura del testamento scoprì che i soldi del marito non le spettavano ma che egli li diede come aumento ai suoi dipendenti nelle varie imprese e industrie.

In quell'occasione si era messa a strillare e a piangere perché non riusciva a capire il motivo della scelta del marito. Tornai a casa perplessa perché continuavo a domandarmi se avrei potuto risolvere questo caso.

All'improvviso capii tutto, avevo la soluzione sotto il naso da parecchio tempo. Quando vidi Kate, il giorno seguente dell'omicidio, uscire di casa con le valigie, la incrociai per tempo, perché Mario stava arrivando, e le feci l'ultima domanda: "Perché stai partendo con la carta di credito di Giorgio?".

Lei rispose dicendo che la teneva come ricordo. La invitai a bere per l'ultima volta una tazza di tè. Lei accettò anche se molto agitata perché voleva partire all'istante  per un paese straniero. Nell'ufficio di Giorgio io mi sedetti sulla poltrona della scrivania e Kate su quella di fronte alla mia. Mario ci portò del tè e insieme lo bevemmo.

In seguito offrì un sigaro elettronico a Kate. Quando lo accese capì subito che era quello che aveva dato al marito e me lo restituì subito dicendomi che non ne aveva più voglia. Io capii subito come era avvenuto il delitto e feci entrare la polizia. Lei, vedendo gli agenti, si sedette  come se sapesse già che era la sua fine.

 

Confessò tutto: " L'ho ucciso io perché in verità non lo amavo veramente ma lo sposai solo per i soldi. Da molto tempo ho aspettato il momento di partire con l'uomo della mia vita e di vivere in una famiglia molto ricca. Decidemmo di andare a vivere i un paese straniero così la polizia non ci avrebbe fermati. Chiesi l'aiuto a mio fratello per prendere tutti i soldi di nascosto e promisi che gli avremmo dato un quinto del patrimonio.

La situazione divenne più complicata quando arrivò lei", disse guardandomi, "e quando mio marito si accorgeva sempre di più che i soldi stavano scomparendo. Per farla finita decisi di inventarmi la storia della sirena di sabbia. Nel sigaro, oltre alla miscela di acqua e aromi, ci misi anche un soporifero e un veleno. Il soporifero serviva per far si che non si  accorgesse del veleno e in modo che non potesse chiamare nessuno a soccorrerlo. Non riesco ancora a capire la questione  della mia eredità".

Fui molto sollevata dalla sua confessione perché pensavo che non sarei mai riuscita a farle dire la verità sulle sue gesta. Le spiegai il motivo di quella decisione di Giorgio: "Lui fin dall'inizio sospettava di te. Non so se te lo ricordi ma il 18 lui mi chiamò in disparte e mi confessò tutto ed io gli diedi ragione perché ti avevo vista nel negozio e ho visto come litigavi con tuo fratello e la sceneggiata non era per niente realistica e sincera, quando piangevi ti sforzavi. Il 19 non volevi neanche che andassi a salutare Giorgio perché sapevi che era morto. Tu non piangesti subito perché non mi avevi visto all'interno della stanza. Da questi indizi ho capito tutto. E tuo marito non era così stupido da non capire cosa gli stava succedendo e sapeva che prima o poi sarebbe morto".

Subito dopo la polizia portò via Kate e andò direttamente al tribunale. Con lei andarono anche Luca e Mario. Quella giornata passò e non mi accorsi che avevo perso l'ora di cena. Feci un piccolo bagno e mentre mi asciugavo sotto il sole continuavo a ripensare alla mia avventura passata in questa vacanza.

Partii lasciando alle mie spalle il meraviglioso tramonto. Mi parve anche di scorgere la coda di una balena.

 Finisce così un altro mistero della mia vita.

 

KARINA

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IL MISTERO AFRICANO

Era un lunedì mattina ed era una giornata piovosa, ma già m’immaginavo il sole splendente della Sardegna. La partenza della Ryan Air era prevista per le ore 12:00 ma io ero in aeroporto a Milano già alle 9:55. Data la puntualità, me la presi con comodo così andai a fare colazione al bar. Stavo già ordinando un cappuccino quando il mio collega, vice veterinario John, mi chiamò per dirmi che dovevo correre subito in Congo perché uno degli elefanti africani appena nati non stava bene.

 In quel momento mi sentii un po’ triste perché avrei dovuto rinunciare alla mia bellissima vacanza in Costa Smeralda, tuttavia pensando ad un elefante sofferente mi dimenticai subito della vacanza. Mi recai di corsa a cambiare il biglietto e scoprii che l’aereo per il Congo era partito da 10 minuti.

Richiamai subito John per dirgli che non potevo raggiungerlo perché l’aereo per il Congo era appena partito. John mi disse che avrebbe fatto lui il vaccino al piccolo Mendie.  Andai a casa con quel pensiero che mi balenava nella testa. Quel giorno passò lento fino a quando, finalmente, arrivò l’ora di andare a dormire. Quella notte non chiusi occhio un solo secondo. Alla mattina mi richiamò John per dirmi che Mendie era morto la notte stessa.

 Andai subito in aeroporto per chiedere se c’era qualche volo immediato per il Congo Fortunatamente mi dissero che l’aereo partiva alle 10:00 quindi dopo 10 minuti. Chiamai John per dirgli che sarei arrivata entro 8 ore. Andai sulla navetta che porta all’aeroplano e salii su, dove mi misi in prima fila per scendere per prima. Il viaggio prevedeva una durata di 8 ore con scalo al Cairo. Vicino a me sedeva un signore un po’strano: si chiamava Billy Mendew e aveva la barba lunga fino al petto, capelli lunghi fino alle spalle, basso di statura e paffutello.  

Aveva dei vestiti logori che davano l’impressione che fosse povero. Gli chiesi che lavoro facesse e lui mi disse che commerciava con l’Africa ma non mi seppe spiegare bene cosa commerciava. Arrivati al Cairo mi presi una pausa in un bar e lì trovai una mia amica delle elementari: Johana. Chiacchierammo un po’ e lei mi disse che aveva trovato lavoro al Cairo in un’azienda petrolifera.

Passata l’ora di scalo ritornai in aereo. Ero molto ansiosa di vedere quel povero piccolo elefantino e capire come mai era morto. Finalmente alle 18:00 arrivai al Congo. Andai a noleggiare una macchina con 4 ruote motrici e mi diressi verso la città di Kinshasa dove si trovava il mio ambulatorio veterinario per animali selvatici. Lì si trovavano i miei 2 colleghi, John e Mary, vicini a Mendie.

L’elefante era disteso sul pavimento dell’ambulatorio. Chiesi subito a John e a Mary come mai fosse morto. Loro dissero che probabilmente non aveva cibo a sufficienza. Dopo questo fatto decisi di assumere Sally: una trent’enne che si occupava di fornire la quantità di cibo adeguata ad ogni elefante. Chiamai il signor Blue per portare via Mendie. Decisi di stare in Congo ancora per due giorni. Il giorno dopo accolsi Sally e vidi che era una ragazza molto in gamba e preparata.

Era una ragazza del luogo che aveva una grande passione per gli animali, in particolare per gli elefanti.  Aveva tre fratelli e quattro sorelle e viveva in un villaggio in città. La notte fu un po’meglio, però ancora non riuscivo a capire perché Mary e John non si fossero presi cura di Mendie correttamente.

Per prendermi un giorno di relax assoluto decisi di andare a fare una gita al mare, a Luanda in Angola.

Non vedevo l’ora di buttarmi nell’acqua cristallina dell’oceano Atlantico.

Quando mi tuffai scoprii che l’acqua era caldissima!

Essendo molto freddolosa, potei restare in acqua per molto tempo e godermi il mio unico giorno di vacanza di tutto l’anno. 

Arrivò il tramonto. Me lo ricordo ancora oggi quel tramonto così magico con tutte le sfumature di caldi colori africani.  Per un attimo mi sembrò di rilassarmi davvero.

Più tardi mi incamminai verso l’ambulatorio.

Arrivata a Kinshasa, andai a controllare gli elefanti e vidi che la mamma di Mendie,  Lucy, era morta anche lei…stava succedendo qualcosa di strano...

Andai a vedere in che stato era il giardino immenso dello studio veterinario e lì incontrai Albert, il giardiniere.

Gli chiesi se dovevo comprare qualche diserbante o qualche spray per le piante, e lui mi disse che mancava lo spray anti cocciniglia, lo spray anti afidi e il diserbante.

Mi diressi da Peter, un uomo che aveva il negozio “Plant and Plant” e da lui comprai tutto il necessario che poteva servire ad Albert.

Quando tornai, consegnai al giardiniere gli spray e il diserbante e lui mi disse che li avrebbe spruzzati il giorno successivo.

Alla sera avvisai John e Mary sulla morte di Lucy.

Fu una notte insonne e con molti incubi.

Quando alla mattina mi sveglia avevo molta fame perché la sera precedente non avevo toccato cibo.

Andai all’ambulatorio e lì trovai solo Mary perché John aveva il giorno di riposo.

Andai a vedere se era successo qualcosa agli elefanti, infatti… era morto anche Moon, il padre di Mandie.

Ispezionai la zona e, ad un certo punto, vidi per terra una siringa.

La portai subito in laboratorio.

Andai a salutare Albert e lo vidi disperato…il diserbante era calato tutto d’un colpo.

Andai in laboratorio per analizzare cosa conteneva la siringa.

Pareva ci fosse dentro il diserbante.

Cercai di chiamare John e Mary per dirgli che era morto un altro elefante e che nel loro recinto avevo trovato una siringa contenente il diserbante, ma nessuno dei due mi rispose.

Andai a casa di John senza avvisarlo e vidi un uomo da dietro che correva.

Mi sembrava una persona che avevo già visto.

Sembrava avesse in mano due zanne lunghissime di un elefante adulto.

Entrai nella lussuosa casa di John, parlammo un po’ e mi offrì un caffè.

Stavo buttando il bicchierino usa e getta del caffè quando vidi tanti barattoli di plastica con le etichette staccate.

Andai a casa con molti sospetti e aspettai l’ora di cena leggendo un libro: Theodore Boone l’accusato.

L’appetito non mi mancò, poi andai a letto.

Alla mattina mi alzai di scatto pensando che fosse tardi invece erano solo le 6:30.

Feci colazione in un bar poi andai dagli elefanti.

Incontrai Sally e vidi che dava il cibo agli elefanti.

Mi sentii sollevata perché sapevo che di lei potevo fidarmi. Andai da John a perlustrargli la casa di nascosto e ad un certo punto il cuore iniziò a battermi fortissimo… vidi i tre elefanti senza zanne dietro casa sua.

Andai subito a chiedergli spiegazioni ma vidi che lui non era in casa.

Gli lasciai un biglietto con su scritto: appena puoi chiamami.

Mentre percorrevo il sentiero polveroso per arrivare all’ambulatorio, improvvisamente mi ricordai di Billy Mendew, lo strano signore dell’aereo.

Ecco a chi assomigliava la persona che stava fuggendo dalla casa di John con in mano le zanne!

Quindi John uccideva gli elefanti con i diserbanti che ho trovato nel suo cestino di casa, vendeva le zanne a Billy che le esportava nel mondo.

Non mi restava che chiamare la polizia…

 

SARA

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