DOPPIO OMICIDIO A TEATRO


“Doppio omicidio al teatro di Boston: le due gemelle e attrici della compagnia teatrale italiana “La compagnia d’Oltreoceano” trovate assassinate questa mattina. La polizia scientifica indaga sul delitto.”

Le orecchie mi si tesero a questa notizia e alzai il volume della radio; non c’era regalo di Natale migliore: un bel caso su cui investigare. Mentre tornavo verso casa per le vacanze, sapevo già che quella settimana sarebbe stata avvolta nell’aura del mistero.

Ero ancora una studentessa, ma sembrava che avessi già quell’intuito indispensabile sia nella medicina (che stavo studiando ad Harvard) che nell’investigazione (passione ereditata da mio padre che faceva il poliziotto).

Arrivai alle due del pomeriggio e parcheggiai l’automobile di fronte ad una casa gialla canarino con l’intonaco scrostato. Presi le mie cose, entrai e salii le scale di legno cigolanti fino all’ultimo piano.

Ancora prima che potessi suonare il campanello dell’appartamento numero 208, mio padre aprì la porta e mi buttò le braccia al collo, poi mi fece entrare e sedere al piccolo tavolo in cucina cosparso di fogli, foto ed immagini di cadaveri, cartelle di uomini e donne, probabilmente sospettati dei numerosi furti ed omicidi commessi in quella grande città.

“Cos’è successo papà?” domandai “Quelle due ragazze a teatro …. avete già idea di chi le possa aver uccise?”

Mio padre si sedette di fronte a me ridacchiando “Certo, Samantha, che a te non sfugge proprio niente! Ma sei abbastanza intelligente da capire che gli affari della scientifica non sono affari tuoi.” Detto ciò, si alzò e si diresse verso il salotto.

Se pensava di liquidarmi così si sbagliava di grosso e, sfruttando la situazione a mio vantaggio, esclamai: “Sai, papà. l’investigazione e la medicina sono la stessa cosa!” mio padre fece improvvisamente capolino dalla porta con aria interrogativa, allora continuai; “… forse un po’ di allenamento investigativo non nuocerebbe al  mio metodo di studio all’università …” il mio dolce, caro papà sorrise e si avvicinò con un’espressione rassegnata sul viso: “Va bene, va bene, mi arrendo ..”.

Quella sera andai a dormire con un sacco di informazioni in testa riguardanti il caso del “doppio omicidio a teatro”, come l’aveva chiamato mio padre.

Mi disse che le due vittime, Sara e Sabrina Bianchi, facevano parte di una compagnia teatrale italiana che teneva spettacoli in tutti gli Stati Uniti; erano state ritrovate da Irina Jonson, direttrice del teatro, completamente travestite da dame ottocentesche, sedute su poltroncine ai lati del palco e strangolate con le corde del sipario che era stato chiuso. Dietro il palco si trovavano due camerini e una sala grande, tutte e tre queste stanze erano dotate di telecamere e tutte e tre le telecamere avevano ripreso la stessa cosa: un uomo mascherato che le oscurava con un panno; uno dei camerini era stato messo completamente a soqquadro e aveva due finestre: una sull’esterno e una sul cortile interno; l’altro camerino aveva solo una finestra sul cortile interno; la sala grande aveva una porta che dava sull’esterno ed era stata trovata completamente spalancata, ma non forzata: nella toppa c’erano le chiavi appartenenti al signor Luca Pola, direttore della “Compagnia d’oltreoceano”. Probabilmente l’assassino (o gli assassini) avevano utilizzato questa porta poichè il portone principale del teatro era invece chiuso dall’interno. Di fronte al palco una telecamera (che le gemelle avevano utilizzato per le prove dello spettacolo) aveva ripreso due uomini che facevano un inchino e poi chiudevano il sipario; subito dopo la telecamera era stata spenta.

Quindi, ricapitolando, due omicidi, due persone coinvolte … ma io ero certa che fossero almeno tre: la telecamera di fronte al palco non poteva di certo essersi spenta da sola!

Il giorno dopo mi recai con mio padre sulla scena del crimine. Mentre camminavo verso il teatro, che era a poca distanza da casa nostra, continuavo a riflettere sull’accaduto, ma non trovavo un collegamento logico, proprio non ci riuscivo. Il maestoso palazzo che ci ritrovammo di fronte, mi riportò alla realtà.

Vicino al portone d’ingresso (sul quale era stato messo un cartello che riportava a caratteri cubitali “Vietato entrare: indagine in corso”) sostava un anziano mendicante; feci cenno a mio padre di fermarsi e mi diressi verso di lui. “Buongiorno, lei era qui anche ieri quando è successo l’omicidio?” gli chiesi, …e già mi sentivo un vero investigatore!

“Si, si” rispose l’uomo “ero qui!”

“E … ha per caso sentito o visto qualcosa?” continuai.

L’uomo ci pensò su un po’ e poi disse: “Prima ho visto una donna giovane, sulla trentina, con una lunga treccia bionda entrare e poi uscire tranquillamente dall’ingresso principale qualche minuto dopo …. poi  non c’è stato più alcun movimento finchè la stessa donna è tornata e ha cercato di rientrare ma non c’è riuscita perche mi pare il portone fosse chiuso ….. allora si è diretta là dietro …” indicò con la mano tremante un vicolo laterale del teatro“…. poco dopo è tornata indietro urlando”.

“Grazie” sorrisi e gli lasciai una monetina.

Tornai da mio padre che mi stava guardando con un’espressione decisamente esterrefatta sul volto …. gli chiesi: “Sai cosa c’è in quel vicolo?” ed indicai dalla stessa parte che mi aveva mostrato il mendicante, lui mi rispose che c’era l’ingresso posteriore del teatro, di solito utilizzato da attori e addetti ai lavori. Senza perder tempo corsi fin laggiù e, oltrepassato il nastro giallo, che avrebbe dovuto tenere me (e i ficcanaso) lontano dall’edificio, cominciai ad osservare attentamente la porta: era aperta e nella toppa esterna c’erano ancora le chiavi, così come mi aveva già spiegato mio padre la sera precedente; egli mi raggiunse affannato per la corsa e gli chiesi: “Chi è la donna con i capelli biondi che ha avvertito la polizia?”. Rispose con il fiatone: ” Irina … Irina Jonson”. A sì! La direttrice del teatro, segnai quel nome sul mio taccuino ed entrai nel teatro seguita da mio padre; la prima sala era grande e spoglia: c’era solo qualche sedia e una telecamera che, come già mi aspettavo, era coperta da uno straccio nero; proseguimmo nel primo dei due camerini: c’era un armadio, uno specchio e, anche qui, una telecamera coperta da uno straccio molto simile al precedente; il secondo camerino era quello ridotto peggio: lo specchio era caduto, l’armadio svuotato e tutti i costumi erano sparsi per terra, i trucchi erano stati rovesciati sporcando ovunque e la telecamera, come nelle precedenti stanze, oscurata. Proseguendo, attraversammo una porta che portava dietro le quinte e poi sul palco; il sipario era chiuso come mi aspettavo, ai suoi lati erano posizionate due poltroncine sulle quali erano seduti due manichini che rappresentavano i due cadaveri (che erano già stati rimossi); quello sulla destra era coperto di tagli probabilmente provocati da un piccolo coltello che giaceva a terra alla sinistra del corpo e, notai avvicinandomi, sul collo aveva un segno circolare e le corde del sipario erano sporche di sangue; la stessa scena si presentava sull’altro lato con l’altro manichino tranne che per i tagli: il corpo non ne presentava traccia. Entrambe le vittime erano state vestite con abiti ottocenteschi con tanto di acconciatura e trucco.

Raccolsi il coltellino e chiesi a mio padre: “Da dove è saltato fuori questo coltello?”

“Apparteneva ad un vecchio signore …. Gerard Thomas, se non ricordo male, un collezionista di oggetti antichi, armi soprattutto.” rispose.

Presi il taccuino e vi segnai il nome, poi analizzai attentamente il pugnale.

“So quello che stai pensando” intervenne mio padre “ … ma non ci sono impronte digitali su questo pugnale.”

Mentre riflettevo su questo fatto, il mio sguardo fu attirato da un luccichio proveniente dal pavimento e mi accorsi che si trattava di impronte di scarpe che risplendevano sotto i riflettori; mi avvicinai e, come un vero agente di polizia, prelevai un piccolo campione di quella sostanza luccicante e lo porsi a mio padre. Lui lo guardò e poi: “Questo va analizzato in laboratorio.” Lo mise in un sacchetto ed entrambi ci dirigemmo verso la porta posteriore. Mi accorsi uscendo della presenza di un piccolo giardino nel cortile interno, ma soprattutto notai in esso una donna con un lungo cappotto nero, capelli neri e occhi colore del ghiaccio, non potei vedere altro perché la figura scomparve immediatamente dietro la porta che dal cortile dava sulla pizza dall’altra parte del teatro.

Passai la notte a lavorare sul caso. I risultati delle analisi mostrarono che la sostanza che faceva brillare le impronte era zucchero. Dall’altra parte della città c’era una fabbrica di zucchero e di fronte ad essa era situato il Big Theatre, la sede della “B.T.A.C.: Big Theatre Artistic Company”, la principale compagnia teatrale antagonista della “Compagnia d’oltreoceano”; segnai subito il nome dei due direttori: Kathy Reed della “B.T.A.C.” e Luca Pola dell’altra.

Le indagini sul proprietario del coltello mi portarono a scoprire che egli aveva una figlia, Andrea Thomas, che era l’attrice di punta della “B.T.A.C.” (anche se non era famosa come le due giovani assassinate); sul taccuino segnai anche lei.

Quella sera mi ero fatta dare da mio padre le registrazioni delle telecamere e le guardai una dopo l’altra: quella della sala grande e e dei due camerini riprendevano una figura mascherata che lanciava un panno sulle telecamere; la registrazione della telecamera di fronte al palco aveva ripreso due figure, anch’esse mascherate, uscire dalle quinte sul palco, fare un inchino e chiudere il sipario.

Continuavo a pensare al misterioso complice che aveva spento la telecamera: probabilmente era lo stesso che aveva chiuso il portone dall’interno, ma di questo terzo uomo non c’erano prove concrete.

Analizzando i video attentamente fui sorpresa nello scoprire che uno dei due uomini che avevano partecipato alla scenetta davanti al palco, per la precisione quello che aveva anche oscurato le telecamere, in realtà era una donna; alcuni particolari mi avevano portato a questa scoperta: l’inchino innanzi tutto perché non si era chinato in avanti come l’altro, ma aveva piegato leggermente la testa e le ginocchia come fanno di solito le dame; inoltre avevo notato, sotto quella che doveva essere una parrucca, ciocche di capelli lunghi e corvini che ondeggiavano quando camminava. C’era qualcosa di stranamente famigliare!

Il mattino seguente mostrai il taccuino a mio padre e lo convinsi a chiamare le persone che vi avevo segnato in centrale per essere interrogate. I primi ad arrivare furono Gerard ed Andrea Thomas. Scoprimmo che il pugnale era stato affidato dal padre alla figlia per uno spettacolo al Big Theatre e che lei lo aveva poi lasciato in camerino dopo le prove avvenute il giorno precedente all’omicidio; la ragazza, particolarmente svampita, inciampava spesso nelle parole e si contraddiceva spesso, come una che mente …

La seconda ad arrivare fu Irina Jonson. Ci disse che si era recata in teatro a portare un caffè alle ragazze che stavano provando; dopo che se ne era andata da circa una ventina di minuti si accorse di avere dimenticato là il cellulare, decise di tornare a riprenderlo e le aveva trovate morte.

Il direttore della “Compagnia d’oltreoceano” e proprietario delle chiavi che avevano aperto la porta sul retro, Luca Pola, sembrava assolutamente tranquillo; si giustificò dicendo che si era accorto da un po’ di tempo di aver perso le chiavi e perciò non erano in suo possesso il giorno del delitto.

L’ultima fu Kathy Reed.

Quando entrò nella stanza degli interrogatori con il suo lungo cappotto nero, i capelli altrettanto corvini e scompigliati dal vento, gli occhi glaciali che mi fecero salire un brivido lungo la schiena, la riconobbi subito; ecco perché il “finto” uomo mascherato del video mi era così famigliare: avevo già visto quel volto nel giardino interno del teatro il giorno precedente e, si sa, l’assassino torna sempre sul luogo del crimine ….

Dal suo interrogatorio non ottenemmo molte informazioni: ci disse che aveva conosciuto le gemelle qualche anno prima e che loro non avevano accettato di entrare nella sua compagnia e  …. Bla, bla, bla … nulla di interessante, tranne la sua descrizione del carattere delle due ragazze.

“Sabrina” ci spiegò “ è … era una ribelle, non  si arrendeva mai, mai, MAI …” Notai che la signora Reed aveva una particolare tendenza ad enfatizzare tutto …

“Sara invece, aveva un atteggiamento molto fatalista, prendeva le cose così come venivano …”

“Cosa stava facendo lunedì mattina quando è successo l’omicidio?” chiesi prima ancora che lei finisse di parlare.

“Oh, io? Io dormivo …. Dormivo beatamente nel mio letto.”

Terminai di prendere appunti anche su questo interrogatorio e congedammo la signora Reed.

Era un bel rompicapo, pochissimi indizi e una sola “quasi certezza”: sapevo che Kathy Reed era coinvolta.

Passarono cinque giorni di regali e feste natalizie, mentre di notte indagavo, pensavo e cercavo informazioni sui possibili colpevoli.

Il giorno della mia ripartenza per Harvard pensai di essere giunta alla conclusione; chiamai mio padre alla centrale da casa: “Papà, sono io, prendi carta e penna perché devo spiegarti la mia ipotesi, ma stai molto attento perché tra poco riparto e ho molto da fare”.

Allora iniziai a spiegare.

Grazie al mio motto “Niente al caso, tutto alla verità” capii chi erano due dei colpevoli: Luca Pola e Kathy Reed. Si erano ritrovati ad elaborare il paino alla fabbrica di zucchero (ecco il perché delle impronte lucccicanti), erano entrati in teatro con le chiavi di Luca dalla porta sul retro, si erano mascherati entrambi e Kathy si era travestita da uomo, ma le telecamere l’avevano tradita; il signor Pola si era appostato dietro le quinte dalla parte di Sara , sulla sinistra, mentre Kathy si era occupata delle telecamere nei camerini e poi si era appostata dietro il palco dalla parte opposta di Luca cioè sulla destra. Erano poi entrati in scena per fare l’inchino e chiudere il sipario. Presero le ragazze con la forza e le legarono per poi strangolarle con la corda del sipario; probabilmente Sabrina si era ribellata e ciò spiegherebbe i tagli: Kathy per non farsi sopraffare aveva estratto il pugnale ed inferto numerosi colpi al corpo. Poi, sempre Kathy, si era recata nei camerini a cercare gli “abiti di scena”; ero arrivata alla conclusione che fosse stata lei perché Luca, conoscendo gli ambienti e sapendo perfettamente dove tutto era riposto, sarebbe andato a colpo sicuro mentre Kathy aveva messo tutto sotto sopra. La teatralità della scena del delitto mi aveva dato un indizio importante nel trovare gli assassini: non poteva essere una persona qualunque ad avere ideato un piano così creativo.

Del terzo complice non sapevo praticamente nulla tranne che era senz’altro entrato con gli altri due e, passando dietro le quinte, era sceso lateralmente dal palco e aveva chiuso il portone dall’interno per impedire l’ingresso a testimoni indesiderati; poi, una volta terminata la scenetta dei suoi complici, aveva spento la telecamera; quando aveva sentito qualcuno (Irina) tentare di entrare dal portone, aveva avvertito gli altri e tutti e tre si erano precipitati alla porta posteriore riuscendo a nascondersi nel giardinetto. Prima che Irina scoprisse tutto si erano dati velocemente alla fuga lasciando le chiavi di Pola nella toppa (erano quelle che probabilmente Kathy era tornata a prendere il giorno in cui l’avevo scorta nel giardinetto sul retro del teatro).

Perché tutto questo? Per gelosia e motivi economici, ovviamente!

Kathy aveva cercato di convincere più volte le gemelle a lasciare la “Compagnia d’oltreoceano” per unirsi alla “B.T.A.C.” dando così prestigio alla compagnia che di recente non navigava in buone acque; le due attrici non si erano mai fatte convincere perché legate affettivamente al gruppo di giovani attori italiani dove anche il padre aveva lavorato; da altre testimonianze, avevo saputo che un giorno le gemelle Bianchi avevano litigato pesantemente con Kathy Reed e quest’ultima le aveva minacciate di morte, ma le giovani non avevano dato peso all’episodio sapendo che Kathy in quel periodo era in cura da un analista a causa dei suoi atteggiamenti violenti ed esagerati.

Luca Pola, però, che interesse poteva avere dalla morte delle due ragazze? Investigando più a fondo, avevo scoperto che la “Compagnia d’oltreoceano” aveva un’assicurazione che, in caso di decesso di uno degli attori, avrebbe pagato alla compagnia stessa (cioè al direttore)  un’enorme somma di denaro ….. figuriamoci se i decessi fossero stati addirittura due!

Il terzo complice era proprio un mistero, ma ormai non avevo più tempo: dovevo tornare ai miei studi di medicina ad Harvard … ci avrebbe pensato mio padre insieme agli altri della scientifica.

Erano passati giorni ed io ero ormai lontana dai ricordi delle vacanze di Natale, quando, sfogliando il giornale, un titolo mi colpì: “Finalmente risolto il caso del doppio omicidio al teatro di Boston”; mi affrettai a leggere l’articolo: “…. Per il duplice omicidio delle gemelle Sara e Sabrina Bianchi sono stati arrestati: Kathy Reed e Luca Pola, entrambi accusati di omicidio premeditato; in manette anche l’amante del Sig. Pola Andrea Thomas con l’accusa di complicità in omicidio ….”.

Finalmente anche l’ultimo pezzo si era incastrato al posto giusto: come avevo fatto a non arrivarci? Andrea Thomas aveva tutto l’interesse perché le due attrici scomparissero: senza di loro, finalmente anche lei avrebbe potuto avere un po’ di prestigio sulla scena teatrale del paese ... e poi, in quanto amante del Sig. Pola, avrebbe beneficiato anche lei dei soldi dell’assicurazione … e, come se non bastasse, era l’ultima ad aver visto il pugnale utilizzato nel crimine … non faceva una piega!

Per fortuna c’era il mio papà che aggiustava le cose …… e, questa volta, era stato anche un po’ merito mio!

 

 

 SCILLA


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Commenti: 2
  • #2

    Alessandra (giovedì, 28 maggio 2015 00:15)

    Ci sono un po' di errori purtroppo ma è molto bello.

  • #1

    lucy (mercoledì, 27 maggio 2015 23:00)

    bellerrimo!! anche se io avrei iniziato così: "Era una notte buia e tempestosa...."