RICATTO A MASO CORTO

Era una giornata tranquilla nel paesino di montagna di Maso Corto, ma l’hotel Cristal era in fermento: quel giorno, infatti, sarebbe arrivata la donna più ricca d’Inghilterra, Linnet  Doyle, e suo marito Simon. Per caso ero in vacanza in quell’hotel anch’io, Stefano Feudatari, detective di ottima reputazione e fama. Ovviamente volevo assistere all’arrivo, ma l’ingresso dell’hotel era pieno di uomini della sicurezza. Sospettavo che Linnet non avrebbe potuto spostarsi più di tanto perché ovunque andasse, attirava molti ladri e rapitori, ma alla fine tutto tornava sempre come prima. Ma non aveva idea di cosa le sarebbe accaduto questa volta...

Infatti, fu rapita durante una passeggiata nel bosco, e suo marito, l’ unico testimone, fu trovato svenuto, ma per fortuna ancora vivo, e fu portato subito in ospedale. A quel punto decisi di mettere da parte la vacanza e iniziare ad indagare su questo caso.

Per prima cosa decisi di fare un sopralluogo sul luogo del rapimento: un sentiero che sbucava in una piccola radura non visibile dall’hotel. Perlustrandola trovai un sasso insanguinato, quello che doveva aver colpito Doyle facendolo svenire, e, più avanti, diverse impronte che andavano verso il bosco più fitto. Decisi di fermarmi perché era il tramonto, ma avrei continuato il giorno dopo. Il mattino dopo tornai alla radura ed esaminai accuratamente le impronte, e capii che una persona era zoppa perché l’impronta di un piede era più marcata dell’altra. Cercai qualche cliente dell’hotel zoppo, ma non ne trovai nessuno. Interrogai tutti i turisti, ma ognuno disse di non sapere niente.

Non sapevo più che fare. Più passavano i giorni e più ero bloccato.

Ma un giorno, mentre ero al bar, dopo un’altra ma inutile giornata ad esaminare le impronte, vidi due uomini vestiti di nero che si avvicinavano a Doyle, anche lui al bar, e senza essere visto da nessuno, uno gli puntò la pistola nella schiena, e lo intimarono a seguirli. Quando se ne furono andati, presi la mia pistola e li pedinai fino al seminterrato, dove quei due gli puntarono la pistola in testa e gli ordinarono di consegnargli tutti gli oggetti preziosi e tutti i soldi di Linnet in cambio di lei al rifugio Bellavista a mezzanotte. Conoscevo quel posto:era in mezzo al bosco.

 Andai alla centrale di polizia più vicina e raccontai tutto, e il capo mi mise a disposizione tutti i suoi uomini e le forze speciali per un intervento quella notte.

Alle 23:45 Simon Doyle uscì dall’hotel con una valigetta in cui aveva messo tutte le cose preziose  i soldi di Linnet. Quando se ne andò, guidai gli uomini fino al rifugio, dove ci appostammo. Lasciai indietro un paio di poliziotti di guardia alle macchine, nel caso ci fosse stato un inseguimento, noi saremmo stati pronti. Doyle aspettò fino a quando uscirono i due uomini in nero, di cui uno era zoppo, che salutarono Doyle, che disse che tutto procedeva secondo i piani, e che, quando avrebbero incassato il riscatto, sarebbero andati a vivere lontano dai ricconi. Improvvisamente un lampo mi illuminò la mente: era tutta una messinscena: il rapitore era Simon Doyle, e non potevo permettergli di scappare, perciò ordinai di intervenire, ma non sapevamo di essere osservati.. Una spia ci aveva visti e lo stava segnalando a Doyle, che ordinò la ritirata. Ordinai di fare fuoco. Iniziò una violenta sparatoria. Ad un certo punto vidi Doyle che stava fuggendo con Linnet: dovevo inseguirlo. Presi una macchina e mi lanciai all’inseguimento. Sparai fino a quando riuscii a forargli una gomma. L’auto andò a sbattere contro un albero e Doyle svenne. Lo ammanettai e lo consegnai alla polizia. Linnet era salva, ma chiese di non riferire niente ai giornali. Io le assicurai che non avrei detto una parola. Così lei tornò in Inghilterra e la sua reputazione restò uguale.

E io? Anch’io me ne tornai  casa nel mio paese, Casalmaggiore, dai miei amici, ignari dell’avventura che avevo appena vissuto.

 

 

STEFANO

   

 

  

  

 

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